My Roanoke Nightmare – Murphy è riuscito a redimersi?

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La domanda che, ancor prima di aver visto la premiere, mi sono posta con maggiore frequenza quando si entrava nell’argomento di American Horror Story era sempre la stessa: ma Murphy, questa volta, riuscirà a redimersi per le imperdonabili cazzate compiute nelle ultime stagioni di AHS? Riuscirà ad uscire da questo loop disastroso nel quale è scivolato lentamente e rovinosamente dopo Asylum?

Domande lecite, le mie, lo capite anche voi.

American Horror Story si è presentato come un prodotto innovativo nel suo modus narrandi e nelle tematiche affrontate – sei anni fa, se ricordate bene, gli argomenti principali delle serie TV più in voga erano ben altri ed il tema dell’horror sembrava poter appartenere solo al panorama cinematografico; si è subito distaccato dal prodotto televisivo medio, contraddistinguendosi per la spregiudicatezza narrativa e per il bisogno di scioccare lo spettatore attraverso simboli e drammi sociali del presente e del passato ma, nel giro di due stagioni, ha iniziato a perdersi per strada. Raggiunto il suo apice con Asylum, le stagioni successive hanno man a mano perso la brillantezza iniziale fino a sprofondare nel barato più totale che, per me, è rappresentato da Hotel.
Dunque sì, mi sono avvicinata a My Roanoke Nightmare con i piedi di piombo e con ben poche aspettative e devo dire che, a distanza di qualche giorno dalla messa in onda del finale di stagione, ancora non riesco a capire se a posteriori le mie precauzioni erano lecite o meno.

La stagione è facilmente divisibile in due macro-sezioni: la prima, composta dalle prime cinque puntate, in cui assistiamo alla “ricostruzione dei fatti”, alternata dalle testimonianze; la seconda, quella che ha lasciato più perplesso il pubblico, in stile reality-show.
Murphy in My Roanoke Nightmare ha cambiato radicalmente direzione rispetto alla strada intrapresa nelle precedenti stagioni, scegliendo un metodo di narrazione che è oggettivamente accattivante e che ha saputo mantenere il pubblico incollato nonostante le evidenti e lecite perplessità. Tutt’ora fatico a farmi un’opinione precisa su questa stagione. Ci troviamo di fronte ad una stagione innovativa e geniale, oppure abbiamo assistito ad un fallimentare tentativo di risollevare le sorti della serie? Qui ritorna la domanda del titolo: possiamo perdonare Ryan Murphy?

A Murphy, nel bene e nel male, bisogna riconoscergli una dote non trascurabile: è uno che sa lanciare le mode. Capisce qual è la tendenza del momento e la trasporta in una serie TV. Quindi, l’idea di utilizzare il format del documentario misto a reality show è sicuramente un’idea di impatto e non mi sorprenderei di vederla utilizzare da qualcun altro in futuro.
La stagione gode moltissimo della mancanza di Jessica Lange e della modestissima parte affidata a Lady Gaga; in questo modo le attrici che nelle stagioni precedenti hanno sofferto nascoste dalla loro grandissima ombra, hanno avuto modo di emergere. Nel caso della Lange, tra l’altro, la storia non si è sacrificata per adattarsi ad un ruolo che le calzasse a pennello, come invece è sempre accaduto in passato. La storia non è stata al suo servizio e di questo ne ha giovato. Non fraintendetemi, l’ho trovata perfetta in ogni ruolo interpretato nel franchise di American Horror Story, eppure è innegabile che tutta la storia si piegasse per renderla al centro di ogni riflettore. Senza di lei, abbiamo avuto una coralità di personaggi femminili che è riuscita ad avere il giusto spazio, prima tra tutte Sarah Paulson seguita da Adina Porter (che, non so se lo ricordate, ma in Murder House ha interpretato per la prima volta Lee, in una seduta con Ben).
Katy Bates, che nei ruoli da pazza dà sempre il meglio di se stessa, è davvero magnifica a dare vita alla Macellaia/attrice intrappolata nella psicologia del personaggio che interpreta. Allo stesso modo, anche tutti gli attori maschili sono stati impeccabili nelle loro rappresentazioni – e, questo devo confessarvelo, My Roanoke Nightmare ha sancito il mio amore per Cuba Gooding Jr.
My Roanoke Nightmare è una stagione anomala eppure è il collante che unisce molti aspetti delle stagioni precedenti: ci sono continui richiami, soprattutto alle prime due stagioni, che culminano con l’inserimento di Lana Winters direttamente da Asylum. AHS estremizza se stessa in questo senso, utilizzando la stessa attrice per interpretare due ruoli diversi all’interno del medesimo arco narrativo, come era successo anche in Hotel, in cui la Paulson ha interpretato sia Sally che Billie Dean Howard, personaggio, quest’ultimo, apparso precedentemente in Murder House.

In sostanza, su carta My Roanoke Nightmare ha tutte le carte in regola per diventare virale tanto quanto lo è, nella stagione, l’omonima serie. Eppure c’è qualcosa che non convince. Innanzi tutto manca completamente della componente horror, che viene sostituita con un tentativo mal riuscito di sorprendere e agitare. Inoltre, la tipologia del documentario smorza del tutto la tensione della prima parte di stagione: già sappiamo che nessuno dei protagonisti morirà, perché sono lì a raccontarci la loro storia. E lo stesso succede con la seconda parte: già sappiamo che moriranno tutti tranne uno e per questo, ad ogni morte, non ne rimaniamo minimamente sorpresi e anzi, siamo già pronti ad accogliere la successiva.
Nella seconda parte di stagione, tra l’altro, assistiamo agli stessi errori grossolani che ci hanno caratterizzato in negativo le precedenti stagioni: i personaggi sguazzano nel cliché, la narrazione perde del suo impatto e diventa dispersiva, tramutandosi in un bagno di sangue che perde la tensione iniziale – presente in quasi ogni scena nonostante si sapesse che sarebbero tutti sopravvissuti. Arriva l’ennesima denuncia ai reality, estremizzata dalla componente splatter, che tuttavia non fa altro che storcere il naso nel momento in cui si piega totalmente al servizio della storia e se ne fa un abuso inutile. L’ultimo episodio, che forse voleva avere un carattere di denuncia, non è altro che un’accozzaglia di eventi scollegati tra di loro, con un tentativo di collegare Roanoke a Coven che è buttato là e per niente curato nella sua realizzazione.

Insomma, per rispondere alla domanda del titolo, Murphy ci ha dimostrato di essere in grado di fare una bella stagione e lo ha fatto nel corso delle prime cinque puntate, ma di perdersi quando vuole strafare. Da sempre si è dimostrato di preferire la quantità alla qualità – che, nello specifico di Roanoke, significa inserire troppi personaggi, troppe storyline, troppi format narrativi, troppe uccisioni in ogni episodio, senza dare il giusto spazio a nessuno.

Murphy, per me è no.

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About Jeda

Top 5 : Banshee, Twin Peaks, Son of Anarchy, Homeland, Downton Abbey. Nata e cresciuta in mezzo al verde e alla campagna nel lontano 1990, Jeda sviluppa sin da piccola l’innata capacità di stare ore ed ore seduta di fronte un qualsiasi schermo a guardare serie tv - che, in età infantile, erano cartoni animati. È una dote che le tornò utilissima con l’avvento dello streaming, riuscendo a vedere telefilm senza stancarsi mai, ignorando completamente lo studio e i risultati si vedono: fuoricorso da circa mille anni, la sua preoccupazione principale è quella di riuscire ad essere in paro con i recuperi, almeno una volta nella vita. Le piace leggere, scrivere ed ha una passione quasi ingestibile per le cose oscene.

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